SISET ONLINE n° 01/2023
La terapia riperfusiva nell’ictus ischemico acuto
Domenico Prisco e Maria Canfora
(Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, AOU Careggi)
La terapia nell’ictus ischemico acuto tiene in considerazione il bilancio continuo tra la necessità di riperfondere il tessuto colpito nel minor tempo possibile, secondo il principio del “time is brain”, e il rischio di trasformazione emorragica del tessuto ischemico al momento della riperfusione. In caso di ischemia cerebrale vengono persi 1.9 milioni di neuroni al minuto [1], pertanto risulta mandatoria l’attivazione di reti territoriali e percorsi standardizzati che coinvolgano uno Stroke Team (principio del “team is brain”) improntato all’efficacia, sicurezza e rapidità del trattamento. La prima terapia risultata efficace e sicura a partire dai risultati dello studio NINDS del 1995 [2] è la trombolisi endovenosa (ev) sistemica mediante attivatore tissutale del plasminogeno ricombinante (r-tPA). Il secondo approccio, minimamente invasivo, è rappresentato dalla procedura endovascolare che utilizza la trombectomia meccanica (TM) con stent-retriever oppure con tromboaspirazione [3], nell’ambito dell’occlusione di grandi vasi cerebrali. In passato era stata presa in considerazione anche la trombolisi intra-arteriosa, mediante l’iniezione di farmaci trombolitici tramite microcatetere in prossimità del trombo. Tuttavia, nel tempo, gli studi che indagavano tale metodica come terapia di prima linea si sono drasticamente ridotti, soprattutto dall’avvento della TM. Ad oggi l’unica terapia farmacologica sistemica approvata è la terapia ev con alteplase, r-tPA di seconda generazione. L’alteplase è raccomandato dalle Linee Guida (LG) internazionali entro le 4.5 h dall’esordio dei sintomi neurologici, valutati secondo la scala di gravità NIHSS (National Institute of Health Stroke Scale), al dosaggio di 0.9 mg/kg (max 90 mg), di cui il 10% in bolo e il restante 90% nei successivi 60 minuti, senza limiti superiori di età. Tale trattamento deve essere somministrato il più precocemente possibile, una volta esclusa emorragia cerebrale mediante imaging cerebrale di base [4,5]. Tuttavia, non tutti i pazienti sono candidati alla trombolisi sistemica. I criteri di esclusione dalla terapia fibrinolitica si concentrano principalmente sul rischio di complicanze emorragiche. Le LG internazionali controindicano la trombolisi in pazienti con ictus minore considerato non invalidante (NIHSS <5). Tuttavia, evidenze provengono da un unico trial terminato precocemente [6], dotato di una bassa potenza statistica e forza di raccomandazione debole. Va ricordato inoltre che la scala di gravità in tale studio (NIHSS) è stata validata nei pazienti con ictus del circolo anteriore, sottostimando eventuali deficit del circolo posteriore. In caso di ictus di grave entità definito clinicamente da un NIHSS >25 o radiologicamente da un infarto che interessa più di 1/3 del territorio dell’arteria cerebrale media (ACM) o con ASPECTS (Alberta Stroke Program Early CT Score) <7, l’utilizzo di trombolisi con alteplase è da considerarsi solo in casi selezionati [4]. Per pazienti con vento ischemico recente (entro 3 mesi) , l’indicazione ad un eventuale trattamento riperfusivo dovrebbe valutare l’estensione della lesione, l’esito clinico/funzionale e l’intervallo temporale dal primo ictus, poiché il rischio di evoluzione emorragica e mortalità è più elevato nelle lesioni più recenti, in particolare entro i primi 14 giorni [4]. Per quanto riguarda le controindicazioni assolute al trattamento, le varie LG elaborate negli anni non hanno apportato sostanziali modifiche ai criteri di esclusione: emorragia intracranica acuta alla TC cranio eseguita pre-trombolisi; storia di emorragia intracranica o emorragia subaracnoidea; trauma cranico grave nei 3 mesi precedenti o trauma cranico acuto recente; chirurgia o trauma maggiore recenti; chirurgia intracranica/spinale nei 3 mesi precedenti; neoplasia gastro-intestinale o sanguinamento gastro-intestinale nei 21 giorni precedenti; pazienti con diagnosi di endocardite o dissecazione aortica; neoplasia intracranica intra-assiale, piastrinopenia <100.000/mm3, pazienti con aPTT >40s e PT >15s [5]. Nei pazienti che assumono antagonisti della Vitamina K (VKA) le LG controindicano la trombolisi nei pazienti con INR >1.7 [5]. Al momento non ci sono dati sulla trombolisi dopo l’utilizzo di agenti per il reversal dei VKA, ad eccezione di un piccolo studio pilota che ha utilizzato il concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (4-FPCC) [7,8]. Nei pazienti che assumono DOAC sono stati proposti diversi algoritmi decisionali, in accordo con i quali la trombolisi può essere considerata, qualora sia possibile determinare la concentrazione plasmatica del farmaco con test specifici standardizzati, quali tempo di trombina diluito e tempo di ecarina per il dabigatran e attività anti Xa per rivaroxaban, apixaban ed edoxaban, o se l’ultima assunzione del farmaco sia avvenuta >48 h prima [4,5]. Diversi autori hanno proposto l’utilizzo di agenti per il reversal dei DOAC nell’ambito della trombolisi: in particolar modo l’uso di idarucizumab nei pazienti che assumono Dabigatran. Le evidenze, nonostante alcuni risultati incoraggianti, sono limitate ad analisi di case series, non permettono di formulare una forte raccomandazione a favore dell’uso combinato di idarucizumab e trattamento trombolitico. Non è possibile fornire alcuna indicazione in merito all’uso andexanet nei pazienti trattati con anticoagulanti anti-Xa, per la scarsità di studi che lo hanno valutato in tale contesto anche alla luce delle modalità di somministrazione e della farmacocinetica [4,7]. Negli ultimi anni la trombolisi è passata da un approccio che considerava una finestra d’intervento puramente temporale, ad un approccio basato sulla cosiddetta finestra tissutale grazie allo sviluppo di neuroimaging più sofisticati. Nuove metodiche, quali TC di perfusione (TCP) e Risonanza Magnetica (RM), consentono di valutare lo stato di perfusione del tessuto cerebrale, distinguendo il danno irreversibile del core ischemico dalla penombra potenzialmente salvabile [9]. Recenti evidenze [10,11] hanno permesso di estendere la finestra temporale della trombolisi, sia per i pazienti con ictus acuto ad insorgenza indeterminata (ictus al risveglio), sia per quelli con sintomi insorti dalle 4.5 alle 9 h precedenti. L’ictus ischemico al risveglio, rappresenta circa 1/5 di tutti gli ictus ischemici [8]; in questi pazienti, le LG raccomandano l’utilizzo di alteplase, ove sia presente un mismatch DWI/FLAIR alla RM. Per coloro che hanno avuto un esordio dei sintomi tra le 4.5 e le 9 h, la trombolisi trova indicazione qualora sia presente un mismatch core/perfusione alla TCP o alla RM [4]. Se da un lato lo sviluppo di nuove metodiche di imaging ha consentito l’utilizzo della trombolisi in una finestra temporale più ampia, in realtà solo il 10-20% degli ictus viene trattato con tale terapia, a causa del potenziale rischio emorragico [9]. Da qui è aumentato negli anni l’interesse nel ricercare agenti trombolitici con un miglior profilo di sicurezza. Negli ultimi anni tenecteplase sta emergendo come potenziale agente trombolitico alternativo all’alteplase. Tenecteplase è un rtPA geneticamente modificato di terza generazione, che ha dimostrato dei vantaggi farmacologici e pratici rispetto all’alteplase alla miglior affinità con la fibrina, ad un inizio d’azione più rapido, un’emivita più lunga e una maggiore resistenza all’inattivazione da parte del PAI-1. [12]. Inoltre, la somministrazione in singolo bolo per via endovenosa del tenecteplase ha ridotto i tempi di infusione dell’agente trombolitico. Diversi trial clinici randomizzati [13,14,15] hanno dimostrato la non inferiorità ed una maggiore maneggevolezza del tenecteplase rispetto ad alteplase. Alla luce di tali risultati, è stato pubblicato un aggiornamento delle raccomandazioni europee su tenecteplase in pazienti con ictus ischemico acuto ad insorgenza <4.5 h. In tali pazienti l’utilizzo di tenecteplase alla dose di 0.25 mg/kg risulta efficace e sicuro tanto quanto alteplase alla dose di 0.9 mg/kg. [16]. Un altro agente trombolitico che sta suscitando particolare interesse è la prourochinasi mutante. La prourochinasi era stata valutata in passato nel contesto della trombolisi intra-arteriosa (Studio Proact II). La pro-urochinasi mutante è stata studiata nell’ambito di un duplice trattamento fibrinolitico, costituito da un piccolo bolo di alteplase seguito da prourochinasi mutante ev. Quest’ultima è stata progettata specificamente per continuare la lisi del coagulo intravascolare e risparmiare fibrina emostatica dopo che l’alteplase sia stato eliminato dal circolo. Il trial DUMAS ha confrontato questa duplice terapia trombolitica con alteplase standard, non dimostrando differenze significative negli outcome di sicurezza ed efficacia nei pazienti con ictus minore, non candidabili al trattamento endovascolare. Un dato incoraggiante è rappresentato dai livelli più elevati di fibrinogeno riscontrati nel gruppo d’intervento, se si considera l’associazione tra la deplezione di fibrinogeno (<200 mg/dL) e gli eventi di emorragia intracranica [17]. La trombolisi può essere eseguita come unica terapia o in associazione al trattamento endovascolare entro 6 h dall’esordio dei sintomi, in pazienti con NIHSS ≥6, ASPECTS ≥6 e una scala di Rankin modificata (mRS) <2 prima dell’evento acuto, in caso di occlusione di grandi arterie quali arteria carotide interna ed ACM prossimale (I a), e con una classe di raccomandazione inferiore (2 b) anche nei tratti più distali [5]. L’obiettivo della procedura endovascolare è quella di ottenere non solo la semplice ricanalizzazione del vaso, ma un’ottimale riperfusione valutata mediante mTICI (modified Treatment In Cerebral Infarction score) 2b/3 [5]. Nei pazienti che afferiscono direttamente in un centro dotato di un servizio di neuroradiologia interventistica (paradigma “mothership”) entro le 4.5 h dall’esordio dei sintomi, è raccomandata trombolisi ev associata a trombectomia meccanica rispetto alla sola trombectomia meccanica. Invece, per i pazienti ammessi in centri ove questo servizio non sia disponibile, si raccomanda l’esecuzione di trombolisi seguita da una rapida centralizzazione per l’esecuzione del trattamento endovascolare (paradigma “drip and ship”) [18]. Un’altra pietra miliare che ha permesso di estendere la finestra temporale del trattamento con trombectomia meccanica, deriva dalla pubblicazione dei risultati dei trial DEFUSE 3 e DOWN [19,20]. Questi 2 trial hanno dimostrato il beneficio del trattamento endovascolare nei pazienti con occlusione di grosso vaso del circolo anteriore, rispettivamente tra le 6-16 h e le 6-24 h dall’ultima volta visti in benessere, purchè siano presenti precisi criteri all’imaging (mismatch DWI-FLAIR alla RM o mismatch core/penombra alla TCP). In una recente revisione sistematica di 7 studi, la terapia endovascolare è stata anche indagata in una finestra tardiva oltre le 24 ore. I risultati di tali studi suggeriscono che tale procedura sia associata ad outcomes funzionali e procedurali favorevoli [21]. Tuttavia sono necessari ulteriori trial clinici randomizzati e studi di confronto per individuare quale tipologia di pazienti possa beneficiare di tale timing di trattamento. Sono di recentissima pubblicazione anche diversi trial che indagano il beneficio del trattamento endovascolare in uno spettro di pazienti precedentemente escluso dai più importanti studi osservazionali. In particolare, nei pazienti che abbiano un core ischemico di grandi dimensioni (ASPECT <6) [22,23] e nei pazienti con ictus del circolo posteriore da occlusione dell’arteria basilare [24], la trombectomia è apparsa vantaggiosa in termini di outcome funzionale valutato mediante mRS. Con i recenti progressi delle tecniche di trombectomia, l’occlusione dei vasi distali di medio calibro sta emergendo come potenziale futura frontiera del trattamento endovascolare. [25]. In conclusione, la recente estensione della finestra terapeutica sia per la trombolisi che per il trattamento endovascolare, guidata da sofisticate tecniche di neuroimaging, ha aperto la possibilità di sottoporre più pazienti alla terapia di rivascolarizzazione. Molte sono le sfide ancora aperte e gli ambiti in cui la ricerca clinica si sta muovendo. Tra questi emerge lo studio dei circoli collaterali con le nuove tecniche di neuroimaging per ridurre al minimo il fenomeno della “ricanalizzazione futile”[9]; oppure il ritorno dell’interesse per l’utilizzo di terapie aggiuntive come quelle citoprotettive ad attività neurotrofica per estendere la vitalità tissutale cerebrale (ESCAPE-NEXT; NCT04462536) [1,12]; o ancora l’utilizzo di trombolisi intrarteriosa dopo trombectomia per migliorare i risultati della riperfusione, soprattutto nell’ambito dell’occlusione di arterie distali e del microcircolo e nella prevenzione delle riocclusioni (BRETIS-TNK;NCT04202458),(ALLY; NCT05172934), (TECNO;NCT05499832) [12]. Infine sono attualmente in fase di valutazione diverse strategie d’associazione promettenti, come l’uso di argatroban o eptifibatide in aggiunta alla trombolisi endovenosa, per migliorare la velocità di riperfusione ed evitare riocclusione dei grossi vasi (MOST; NCT03735979) [12]. Bibliografia