Ciao, Armando bello. Non riesco a vedere quel che scrivo perché da ieri ho un velo di lacrime davanti agli occhi.
Ho riscritto qui le ultime parole che ci siamo scambiati l’altra mattina, per essere sicuro che tutto fosse davvero successo.
E così in fretta.
Di solito ci scambiavamo preoccupazioni di essere in ritardo con qualche lavoro, o con il programma del Winter Meeting… Mai dubbi sul fatto di essere inscalfibili, ognuno con i propri problemini, ma immortali. E tu mi scrivi “speriamo di risentirci”?
Queste parole le scrivo perché sento che tu in qualche modo le possa leggere. O sentire venire dalla mia anima.
Ci conosciamo bene da quarant’anni. Eravamo all’ASH di Washington…. Tu venivi da Oklahoma City e stavi tornando a Milano. Da allora e per circostanze diverse abbiamo lavorato quasi assieme. Per un anno, dopo la mia pensione, davvero assieme al San Raffaele.
E, oltre al lavoro, ci è sempre piaciuto condividere altro tempo e altre idee.
Mai vacanze.
Io le ho sempre fatte, tu mai.
Sei troppo bravo, curioso ed intelligente, adori il tuo lavoro e consideri una sorta di “tempo perso” quello dedicato a far nulla.
Tanto che arrivammo alla conclusione che per condividere i momenti che il nostro carattere ci chiedeva, dovevamo inventarci quel che non c’era: un serio lavoro, in vacanza.
E siamo riusciti a mettere in piedi più di vent’anni di edizioni biennali del nostro Winter Meeting on Coagulation. L’hai fatto diventare un marchio di qualità. I nostri amici importanti che giravano per meeting internazionali con migliaia di delegati, venivano e chiedevano di essere invitati e reinvitati al nostro raduno di non più di 100 partecipanti. E che partecipanti… E lì, per una settimana in montagna li facevamo vivere come a casa loro, al mattino a colazione in pigiama e poi al lavoro. E che ospiti riuscivamo ad avere per momenti diversi dalla scienza nostra! E alla sera, dopo l’ultima sessione scientifica, tiravamo fuori da ognuno quel che non sapevano di avere dentro. Ti ricordi, hai fatto perfino cantare per noi un futuro primo ministro!
Armando, sembrava che fossimo una corte rinascimentale che riusciva ad avere il meglio degli artisti a casa propria. E non li pagavamo…
Poi tutto, come sempre, si è a poco a poco dissolto, un po' perché gli acerbi ricercatori nel frattempo erano maturati, un po’ perché sono cambiate le condizioni.
Queste righe di cronaca le ho scritte, perché mi hanno permesso di raccontare cose condivise che ci hanno riempito di gioia e orgoglio, e soprattutto perché sono riuscito a non piangere.
Ora torno a parlare a te, il mio amico grande. Sai che, a volte, vedo in te un fratello maggiore, più saggio di me, che pure sono più vecchietto. E in più, mi chiami Franchino. Tu riesci a temperare il mio carattere un po’ troppo reattivo.
E, poi, sei l’unico che, quando il mio papà se n’è andato, ha saputo scrivermi una splendida lettera.
Sei l’unico che riesce a far ridere quando si rivolge ad amici o semplici conoscenti, dicendo cose che dette da altri sembrano insulti e fanno infiammare i destinatari. Tu li addolcisci. E ti fai voler bene.
Sei l’anima di ogni convivio, scientifico e non. Tutti conoscono il tuo spirito potente ed il tuo sorriso.
Queste righe sono un brutto sostituto di quel “ci vediamo” che ti ho scritto. Ma considero come se ieri ci fossimo davvero visti. E continueremo a vederci come sempre e a parlarci dall’anima, e so che mi sentirai e mi aiuterai in momenti difficili.
Ciao Armando, il mio amico grande, intelligente, colto, ironico, generoso e buono. Son sicuro che dove sei c’è un posto dove puoi sentire al meglio (altro che hifi stereo…) la tua amatissima musica.
Devo salutarti adesso, perché proprio non riesco a vedere più le parole.
Il tuo Franchino.